Il colloquio psicoterapeutico in età evolutiva

Parte 1 – il lavoro con i genitori

L’articolo presenta considerazioni su alcune caratteristiche specifiche dello sviluppo cercando di mettere in evidenza come queste specificità vanno a interconnettersi con il lavoro terapeutico.

Una prima specificità del colloquio clinico con un bambino è il fatto che soltanto un altro, un adulto, quasi sempre un genitore può diventare, per così dire, portavoce della sofferenza psichica del bambino e farsene carico, purché abbia un sufficiente livello di consapevolezza, anche se spesso sollecitato in questo compito (ad esempio da insegnanti o pediatri particolarmente sensibili).  

In effetti l’adulto, fin dalle prime fasi dell’esistenza dà voce ai bisogni di un bambino che a quell’epoca sono esprimibili solo con il corpo e successivamente lo introduce alla possibilità di esprimere tali bisogni verbalmente. 

Anzitutto la madre, fin dalla gravidanza, attraverso una profonda regressione in cui torna in contatto con le proprie parti infantili, può vivere una comunicazione unica con il suo bambino, che le permette di intuirne, al di là della coscienza, bisogni e aspettative. E’ quella che Winnicott definisce Preoccupazione materna primaria.

Sono poi sempre i genitori che, mettendosi dal punto di vista del bambino, attraverso la funzione di contenimento emotivo che Bion ha chiamato Réverie, possono dare un nome, un significato all’angoscia del bambino espressa attraverso pianto, agitazione e restituirli bonificati dall’angoscia e dotati di senso.

E’ chiaro che spesso quando un bambino viene in consultazione non ci possiamo aspettare che queste funzioni siano state svolte al meglio, ma nello stesso tempo i genitori sono arrivati al grado di consapevolezza necessario per comprendere il disagio del bambino e decidersi a chiedere un aiuto. La richiesta di aiuto di una coppia che porta in consultazione un bambino è piuttosto complessa e presenta diversi livelli di lettura. Decidere di consultare uno specialista è sempre una ferita. Dell’immagine del figlio, che si vorrebbe senza macchie, con il meglio del padre e della madre; dell’immagine di sé come genitore, ossia del proprio essere in grado di aiutarlo. Ma anche di sé come persona ben funzionante ed efficiente.

E’ importante comprendere come i genitori vivano il problema del figlio, se se ne sentano disturbati, responsabili, ecc., ma anche le loro caratteristiche di personalità e come queste possano aver contribuito a formare la personalità del figlio.  Ci interessa conoscere la disponibilità a prendersi cura del figlio e quanto ciascuno dei genitori abbia potuto fare affidamento sull’altro per questa funzione. Ci interessa inoltre comprendere quanto queste persone siano state a loro volta oggetto di queste cure da parte dei loro genitori. La segnalazione di un problema del proprio figlio può essere un modo attraverso il quale la coppia segnala un proprio disagio o patologia.

Il colloquio con i genitori è quindi un primo lavoro di conoscenza sia su quale significato ha per i genitori quel particolare figlio, sia sulla “memoria” della loro infanzia.  La consultazione più che a una diagnosi, a una classificazione, tende a un’altra prospettiva: quella di far cogliere ai genitori le difficoltà e i bisogni del loro figlio e i rischi connessi a una loro sottovalutazione nonchè l’importanza di un’assunzione di responsabilità da parte loro nel fare la scelta di cercare un aiuto per il figlio.